La storia del Macondo, il chiosco della spiaggia più amata dai veneziani
Alberoni (Venezia) – Non è di sicuro la spiaggia più accessibile del mondo. La raggiunge chi ci abita vicino, chi per passaparola o passione personale ci trascorre le vacanze – magari prenotando una casa vacanza su Hundredrooms.it – e, naturalmente, i veneziani che si fanno volentieri più di un’ora di viaggio, fra vaporetto e autobus, per attraversare la fresca e profumata pineta che riesuma con dolcezza ricordi infantili.
A sentir parlare di Alberoni, non c’è cuor fedele che non rizzi le orecchie e si senta subito a casa, scorrendo nella mente le immagini di un’oasi che ricorda gli angoli un po’ hippie di qualche meta lontana e, solo apparentemente, più esotica di questa. La località degli Alberoni è l’ultimo lembo di terra del Lido di Venezia: in inverno ci vivono sì e no una ventina di persone ma d’estate è un mondo.
Chi fa correre felici i cani sulla sabbia e viene qui per rilassarsi sotto i raggi del sole, alza spesso la testa quando una nave mercantile attraversa la bocca di porto di Malamocco. Poco più in là, le gru degli infiniti e martoriati cantieri del Mose ricordano la fragilità della bellezza: quella di Venezia, e quella di tutti i piccoli paradisi naturali che hanno bisogno di cure, attenzione e buona politica per sopravvivere.
In mezzo ci sono le dune, ci sono i pini, c’è il silenzio della spiaggia libera di cui i veneziani hanno grande bisogno per scappare dalla morsa soffocante del turismo estivo in centro storico.
Fra gli alti, corposi e verdi alberi che respirano l’aria del mare e danno il nome all’oasi protetta, che oggi è sotto la tutela del WWF, eleganti signori si battono in lunghe e concentrate partite di golf nell’unico campo della provincia di Venezia adibito allo scopo. E fra una buca e l’altra, una ragazza di 27 anni e di nome Elisa Zanella elargisce sorrisi dietro un bancone di legno dove non si possono chiedere né bibite, né bicchieri di plastica. Al “Macondo”, è meglio ordinare una spremuta di frutta fresca e una limonata fatta con i limoni veri. Ma solo prima del pranzo: un trionfo di paste e insalate con i capperi di Pantelleria, le mozzarelle pugliesi, le mandorle di Siracusa e i bussolà fatti a pochi chilometri di distanza dal fornaio di fiducia.
Elisa, con i suoi brillanti occhi verdi, è l’anima degli Alberoni, e parla di questo posto con sentimento. “Qui sono nata, qui resto e qui resterò. Conosco tutti, questa è casa mia”, mi dice. E ci credo, perché a 22 anni, dopo sei di lavoro come cameriera in altri locali della zona, ha deciso di comprarsi il baretto con i tavoli colorati che, oltre gli storici Bagni Alberoni (lo stabilimento balneare dove il grande Luchino Visconti ha girato “Morte a Venezia”), è l’ultimo punto di ristoro prima di traghettare verso l’ “altra isola”: l’incantevole, e altrettanto silenziosa, Pellestrina.
“Questo posto è la mia creatura, dal 15 aprile al 15 settembre si lavora tutti i giorni, compresi quelli di pioggia. Se fosse per me, lo terrei aperto anche in inverno. Il mio sogno, sì, è trasformarlo in una piccola baita in riva al mare”. I sogni sono sogni e, si sa, la forza di chi li vuole realizzare è più grande di qualsiasi altra cosa. Il sogno di Elisa è sempre stato quello di lavorare in un bar, perché le piace stare con la gente, farla sentire a casa, accogliere e abbellire un ambiente perché sa che ogni tocco di attenzione dà qualcosa in più.
Lo dimostrano le petunie, gli oleandri e i girasoli che colorano il suo plateatico. Lo dimostrano i fili di conchiglie appesi fra gli alberi e le gabbiette vuote degli uccellini che ora accolgono piccole foreste di erba selvatica.
“La possibilità di gestire da sola un locale è arrivata molto prima di quanto immaginassi, ma l’ho presa al volo, unendo le forze economiche che avevo accumulato negli anni di lavoro durante le scuole. All’inizio è stata durissima, ma di anno in anno è andata sempre meglio”.
Elisa ha frequentato il liceo socio-psico-pedagogico a Venezia facendo più di due ore di vaporetto al giorno per cinque anni. Poteva fare l’università? Forse. Ma forse no.
“Non mi è mai interessato molto studiare, mi è sempre piaciuto lavorare e non mi pento della scelta. Forse sono cresciuta più velocemente dei miei coetanei ma sono contenta, perché a 27 anni non mi sento persa: so quello che voglio”.
E aggiunge:
“Qualcuno pensa che sia facile, che con un’attività del genere si guadagnino tanti soldi e bella finita. Fra spese e tasse, il settanta per cento del mio fatturato se ne vola via. Finita la stagione si smonta tutta la baracca per riaprirla l’anno successivo: si fanno sacrifici, non è tutto rosa e fiori”.
Mi sembra strano guardare in faccia una ragazza di 27 anni e sentirla dire: “Bisogna fare sacrifici”. Sono parole che ho sentito dire ripetutamente da mia nonna e che mi hanno sempre messo tristezza. Il sacrificio si fa sempre in funzione di qualcosa. Durante la guerra, fare sacrifici significava portare a casa il pane per far sopravvivere una famiglia.
Ma oggi, per nostra fortuna, i sacrifici possono aiutarci a essere quello che vogliamo.
Nel caso di Elisa Zanella sembra che sia così, e il suo modo di fare, di “perseverare”, arriva anche ai suoi dieci dipendenti: ci sono ragazzi giovani e in forma, il cuoco è l’ex proprietario del locale, e ci sono bellissime ragazze che durante l’inverno studiano o lavorano, qui e all’estero, e tornano agli Alberoni per fare la stagione: “Per me non c’è soddisfazione più grande che vedere i miei dipendenti contenti di lavorare qui. Ho avuto anche delusioni: non è bello essere piantati da un momento all’altro da qualcuno su cui conti. È successo, purtroppo. Di fronte alla fatica, ci sono tante alternative da scegliere e non per tutti questo è un mestiere fantastico, così come lo vedo io”.
Elisa dice che per dirigere un locale da soli non ci vuole intelligenza, ma solo buona volontà. Forse è vero, ma io aggiungo che l‘intelligenza è indispensabile a capire che la buona volontà non dà risultati immediati, cotti e mangiati, ma va coltivata come un orto che a volte ti regala corposi pomodori e altre volte ti fa venire i nervi.
“Noi giovani siamo delle spugne: impariamo tanto e in fretta. E lavorare non fa mai schifo. Il lavoro è l’unica opportunità che abbiamo per capire chi siamo e dove vogliamo andare”.
“Basta iniziare, e andare avanti. Sempre”.
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