A Burano, la vita piena di sogni, miseria e una voglia “matta” di fare cinema
Burano – Lui non c’è più. Se ne è andato da questo mondo undici anni fa e sua sorella lo va a trovare tutti i giorni, percorrendo il lungo chilometro che separa la sua casa di Burano dal cimitero di Mazzorbo. Sono tanti i passi che dividono Albertina Toselli dal luogo in cui riposa “Bepi”, il “Bepi Suà”, classe 1920, che tutti i buranelli, perlomeno quelli di una certa età, conoscono e ricordano. Albertina fa fatica a parlare di suo fratello Giuseppe senza liberare quelle timide, e discrete, gocce di lacrime in cui sfoga tutta la sua nostalgia. Ed è questo il sentimento che torna a farle visita ogni volta che, anche solo con lo sguardo, rivede l’esplosione di colori della loro vecchia casa in Via al Gottolo.

Bepi al lavoro con una turista in posa. Foto per gentile concessione di Albertina Toselli, vietata la riproduzione.
Tutte le case di Burano sono colorate, ma quella che un tempo fu loro, nascosta dietro la più affollata Via Galuppi, non assomiglia a nessun altra. Non a caso, infatti, quella facciata così originale, piena di cerchi, triangoli e rettangoli psichedelici, compare tutt’oggi in molte cartoline e, nei cassetti di tutto il mondo, ci sono fotografie di viaggiatori con lo zaino in spalla immortalati accanto all’autore di tanta fantasia.
Fino a qualche anno fa, fotografarsi con il “Bepi” della casa colorata – un tipo strano, un po’ scorbutico ma simpatico – era un onore. Anche se, in verità, non era difficle riuscirci: lui era sempre lì alle prese con colori e pennelli a decorare la facciata della sua casa. Non passava giorno che non lo facesse: se ne usciva dal piano terra con tutto l’occorrente e si metteva a dipingere, a sovrapporre il blu al rosso, a mescolare l’arancione con il giallo, ad accostare una linea di verde a una scacchiera fatta di viola e nero. E così, ogni sera, la sua casa aveva un aspetto diverso, una vita nuova, un nuovo sfondo da regalare ai turisti per le loro foto-ricordo.

Bepi Suà tinge la sua casa di un nuovo colore. Fotoper gentile concessione di Albertina Toselli, vietata la riproduzione.
Oggi è dipinta come lo era nel 1985, perchèdopo la morte “deo Bepi” – che tutti chiamavano (e chiamano) “Bepi Suà” perla sua abitudine di starsene fuori al sole senza curarsi delle magliette sudate – i muri, rimasti privi della sua amorevole costanza, si erano scrostati. Nel 2005, scegliendo una delle tante fantasie accumulate negli anni, si è proceduto a un restauro che durasse a lungo. Così a lungo che, nell’estate 2013, i cittadini di Burano hanno ascoltato, per la prima volta, la lunga e affascinante storia di “deo Bepi”.

Collage di fotografie per gentile concessione di Albertina Toselli, vietata la riproduzione.

Fotografia per gentile concessione di Albertina Toselli, vietata la riproduzione.
È grazie all’accurata ricerca della studentessa Giada Carraro che Burano ha dedicato due giornate alla figura di questo artista autodidatta che si era riempito la casa di registratori, televisioni e pellicole. Giuseppe Toselli, infatti, non era solo un amante della pittura, era anche un incurabile appassionato di cinema e per conoscerlo, salendo sulla macchina del tempo, bisogna tornare al dopoguerra.
Albertina, sua sorella, racconta come fosse ieri di quando, nelle serate estive, Bepi appendeva un lenzuolo alla facciata del magazzino di fronte alla casa e, con un’enorme macchina, proiettava cartoni animati, puntate di Stanlio e Olio da crepare dal ridere, e assurde “performance” del clown Ridolini. Scene da “Nuovo Cinema Paradiso“.
Quanti bambini se la sono guduta, con il cinema all’aperto “deo Bepi”, che avrebbe voluto tanto lavorare come operatore cinematografico, ma il suo patentito da autodidatta gli consentì al massimo di fare le pulizie al Cinema Favin. E quando il cinema chiuse, si mise a vendere caramelle nel centro di Burano, provando a dimenticare i ricordi più tristi della sua infanzia: la fame, la miseria, la morte di entrambi i genitori quando lui e la sorella, ultimi di cinque fratelli, erano ragazzi.
Nel salotto della casa in cui oggi vive Albertina, che gli è stata sempre accanto, c’è ancora la poltrona dove Bepi ha trascorso i suoi ultimi anni di vita lottando contro la malattia.
“Non riesco a tirala via – dice – Me lo vedo ancora lì”.