L’artista di laguna che dipinge la campagna per ricordare e raccontare le sue origini
Non sempre le case rispecchiano l’anima di una persona. Ma quando lo fanno è un piacere passare da una stanza all’altra e vedere tracce di vita. Vita vissuta tanto e a lungo in un posto che finisce per essere un’estensione di te, di quello che sei e che fai.
Negli anni dell’università a Venezia ho avuto la fortuna di conoscere Elisa, una delle mie più care amiche. Elisa è di Sant’Anna di Chioggia, un paesino tra l’Adige e il Brenta che i suoi tremila abitanti apprezzano per almeno tre motivi: confina con la riserva naturale del Bosco Nordio, a dieci minuti di macchina si va a prendere il sole a Isola Verde e qualche chilometro più in giù c’è il meraviglioso parco del Delta del Po.
Sant’Anna è il profondo Sud di Chioggia, da cui dista circa dieci chilometri, e seppur porti il nome della città lagunare dove si va a mangiare il pesce, la sua è una cultura di campagna. A casa di Elisa, in cui abbiamo trascorso fantastici fine settimana tra un esame e l’altro, si capisce perché.
La sua è una casa d’artista e l’artista è suo padre, Giampiero Baldin, che oltre ad aver riempito la casa di opere e arredato il giardino con mosaici e sculture bianche ispirate all’Ikebana giapponese – l’arte di allestire i fiori recisi secondo principi Zen – ha trasformato il suo studio in un personale angolo di serenità. È qui che, nella sua arte, torna a battere il ritmo di una vita rurale che appartiene al passato.
Ed è qui, in questo universo di colori e pennelli, stracci, spatole, colla e forbici, che ho sempre pensato a quanto deve essere bello chiudere la porta e dire a tutti: “Ciao, io me ne sto qui a dipingere un po’. Ci vediamo più tardi”.
Quindici anni fa ero una principiante della laguna veneziana e le gite frequenti a casa di Elisa sono state un’ottima occasione per scoprire Chioggia e la sua varia quotidianità, dove c’è sempre di mezzo una sagra, uno spettacolo a teatro, un bar, un panettiere o un gelataio entrato nella leggenda. E poi ci sono osterie, barche, panni stesi, cognomi tutti uguali, soprannomi da Nobel per la fantasia, e personaggi a cui non servirebbe scrivere un copione per vederli recitare in un film.
Di solito Chioggia si associa al mare, alle commedie di Goldoni, a Venezia, all’acqua, alla vita di laguna e ai suoi bizzarri ma simpatici abitanti che quando parlano sembrano cantare e anche se non si capisce cosa dicono è comunque bello starli a sentire.
Il suo fascino, però, è legato anche alla campagna: ai campi, all’erba, al fieno, ai trattori, agli alberi, all’odore di legno bruciato che annuncia l’autunno. A ricordarlo non è solo l’isola dell’Unione, che attraverso un ponte unisce la Chioggia dei lagunari a Sottomarina, oggi località balneare ma un tempo terra di ortolani. E non sono solo le due statue di bronzo che trionfano sul ponte: l’una sostenendo reti cariche di pesce, l’altra un cesto carico di ortaggi, simbolo entrambe della conciliazione che nella storia ha attenuato la “rivalità” fra contadini e pescatori.
A tenere viva, in questo territorio, la splendida e rara convivenza fra la cultura di laguna, mare e terra, sono proprio persone come Giampiero Baldin, un pittore e un professore di arte in pensione che quando entra nel suo studio spalanca le porte di un mondo: un mondo dove ama dipingere gli agricoltori, il fieno, le donne, le case, gli animali e gli attrezzi da lavoro come se non ci fosse differenza fra la luce di un sole che tramonta in Africa e qui, dove gli argini costeggiano l’Adige e le strade trafficate portano ai palazzoni del lungomare di Sottomarina.
Tutto quello che Giampiero dipinge è ispirato alla vita rurale, quella che a Sant’Anna di Chioggia ha vissuto da bambino e ragazzo andando a sfogliare le pannocchie nell’aia di qualche grande casa che, a fine raccolto, apriva le porte ai giovani e al loro aiuto in cambio di vino, musica e un po’ di festa. Erano i tempi in cui la nascita di un vitellino era un evento di cui tutti parlavano, magari dopo una lunga notte trascorsa nella stalla ad aiutare la partoriente.
La terra è una madre, nelle sue opere, a tratti una sovrana illuminata dai raggi brillanti di un sole che sembra arrivare da qualche remota civiltà egizia. Nel suo studio la terra è gravida, fertile e femmina. Abbraccia i suoi frutti e chi li raccoglie, scalda gli animali e chi li riporta alle stalle.
A pochi chilometri dal mare e dall’andirivieni di barche e bagnanti, nella sua bella casa, Giampiero Baldin non dipinge l’acqua: sente più sua la terra, sente suoi i ritmi solidi di una vita che non esiste più, fatta di stagioni e colori che cambiano, di regole da rispettare, di una natura che ricambia le cure dell’uomo donando cibo e continuità.
Guardando le sue tele, che a volte ricordano Mirò, altre Kandinsky, altre ancora Arcimboldo, si pensa all’Africa e all’Egitto, all’iconografia di un mondo che sempre più appartiene ai nostri nonni, bisnonni e alle loro fotografie d’epoca.
“Mentre dipingo nel mio studio torno ai miei ricordi, ai valori che la cultura contadina ha inciso nel mio carattere e nel mio modo di vivere. Un po’ mi dispiace dirlo: è un mondo che non ritrovo più. Non è nei chilometri di plastica con cui si ricoprono le coltivazioni, non lo è nelle forme geometriche e tutte uguali dei covoni di fieno, non lo è nella concezione industriale dell’agricoltura”, mi dice Giampiero.
E si consola curando bellissimo giardino che lui e Cinzia, la sua dolce metà, tengono verde e fiorito aspettando il ritorno delle loro figlie giramondo, Elisa e Giulia. Sotto gli alberi ci sono le sue voliere, da cui escono le colonne sonore dell’estate.
Anche se nella vita quotidiana non trovo più i segni della vecchia cultura a cui sono affezionato, questo è e sempre sarà il mondo che abbiamo sotto i nostri piedi e che è bello osservare, soprattutto pensando al suo cambiamento, al suo futuro. È e sempre sarà il mondo in cui io mi sento felice, molto felice…felicissimo!!