Mauro Dolci ci apre la porta della sua bottega, dove prendono vita i ciocchi di legno

Valle Imagna – “C’era una volta… un re!” diranno subito i piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.

Pinocchio - Storie di chi

Questo è l’eterno incipit di Pinocchio, libro per i ragazzi che tanto insegna ancora anche ai “grandi”, scritto da Carlo Collodi, alias Carlo Lorenzini, che lo pubblica per la prima volta nel 1883. Ciocco di legno talmente amato da essere stato tradotto in duecento lingue e pubblicato in innumerevoli edizioni. oltre a essere stato adattato per cinema, teatro, fumetti, murales, ecc…
Ha girato mondo e spazio (nel 1999 persino un asteroide venne chiamato Pinocchio!) e scatenato fantasie più di qualsiasi altro personaggio. Figurarsi la sorpresa per un semplice burattino e per il suo creatore. Infinite sono le creazioni artistiche a lui ispirate: statue, pendagli, portachiavi, ma soprattutto  il burattino di legno. In Italia, patria di Pinocchio, numerosi sono stati gli artigiani che lo hanno creato, come nella storia, dal famoso ciocco di legno. “Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo di catasta…”

Un Mastro Geppetto nella valle Imagna

Le valli dei Pinocchi, famose per le esportazioni in tutto il mondo, erano valli nascoste, antiche, dove i Mastri Geppetti, umilmente, in silenzio, ridavano vita a cento, mille burattini disubbidienti che realizzavano i sogni di tanti bambini che speravano, forse, che il loro Pinocchio diventasse, un giorno, un bambino vero.

La Val Strona, nascosta dietro il lago d’Orta, in Piemonte. La Val Imagna, affacciata su Bergamo. Antiche falegnamerie, e piccole imprese familiari, che creavano lavoro e limitavano lo spopolamento e l’abbandono di queste zone. Negli anni ‘50, in queste valli c’erano tante industrie e laboratori che lavoravano il legname, e tra ciotole, sedie, cucchiai, nasceva anche il “naso lungo” di Collodi.

Così inizia la storia dei Dolci, falegnami di Sant’Omobono in Val Imagna. Raffaele Dolci, detto “Pacio”, creò negli anni Sessanta il suo Pinocchio proprio ispirandosi ai libri e alle illustrazioni dedicate al burattino. Nacque così il burattino del Dolci, venduto in tutto il mondo, e nella bottega del suo “erede”, il figlio Mauro Dolci, oggi si fa bella mostra questa ricerca creativa, con l’esposizione di tanti Pinocchi uno diverso dall’altro. Sono artigianali forgiati con cura e con ingenuità. Come fosse la fantasia di un bimbo a dargli occhi e sorriso.


La storia di Ra
ffaele Dolci e del bambino che lo guardava lavorare il legno

Nella bottega, come nella fiaba, c’era un bimbo, in carne e ossa, che guardava cosa faceva papà Geppetto-Dolci al tornio, e imparava.

Pinocchio - Storie di chi

Piccolissimo, Mauro ha iniziato ad assemblare nasi che mai saranno beccati dagli uccellini, cappellini “di mollica di pane” che non si sbricioleranno alla pioggia. Forse non era neppure geloso di quel fratellino di legno a cui suo papà dedicava tanto tempo.

Quell’arte, quella visione fantastica, Mauro Dolci ce l’ha nel Dna. Dal nulla, lavorando il ciocco di legno con giri velocissimi al tornio, nascono ancora i burattini.

Il collo, il viso dipinto col sorriso sornione, i nasi lunghi e torniti, i cappelli rosso lacca che vorresti indossare. E poi collarette, le gambe e i piedi, il corpicino già vestito. Un Pinocchio così è “per sempre”. Le sue creazioni, infatti, sono state esportate in tutto il mondo. Pinocchi piccoli ed enormi, come quello realizzato per il Giappone, che è alto due metri.

Ma Mauro minimizza, lavorando al suo tornio tanti pezzi di legno “da catasta e non”, e dando vita, immerso tra polvere e trucioli, a centinaia di burattini.

La sua falegnameria, con le finestre che si affacciano sulla valle del legno, è veramente la fucina dei burattini. Le teste dipinte sono ovunque; arti in legno e cappelli penzolano e si asciugano. Qui non puoi sbagliarti.

Nonostante la crisi profonda che in queste terre ha conosciuto la lavorazione del legno, Mauro, col suo sorriso timido, continuerà a far vivere Pinocchio e i sogni dei bambini, sperando che il burattino birichino voglia restare ancora per tanti anni fatto solo di legno, creato a mano e non prodotto da macchine senza anima, che non potranno mai dirgli: “Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna…”.

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