Filare la lana è un’antica tradizione: si tramanda fra le donne di famiglia, che realizzano tappeti tradizionali e i tipici mantelli dei pastori sardi
Aggius (Sassari) – Agostina Gala ha una storia semplice. Ha sempre “filato la lana”, ad Aggius nell’alta Gallura in Sardegna, a due passi dalla smagliante Costa Smeralda. Entrare nella sua casa e nella sua vita è un viaggio nel tempo, ricco di storie famose e di antichissime tradizioni: qui Agostina, classe 1927, srotola i suoi tappeti che, come nei racconti delle Mille e una notte, fanno volare i ricordi.
Agostina Gala inizia a tessere da piccina, quando nelle masserie non c’erano passatempi e gli anziani mettevano il fuso tra le mani delle ragazze e dicevano: “Filate, filate la lana, che qualcosa si guadagna”. E la saggezza dei vecchi non mentiva.
In questa zona della Gallura, già dagli inizi dell’800, la produzione tessile è diventata sempre più importante. La crescita del settore è riconosciuta anche in un rapporto stilato per il Re di Sardegna nel 1856, nel quale l’abate Vittorio Angius, sacerdote e intellettuale sardo, descrive:
“Grazie a centinaia di telai casalinghi, le donne fanno tele molto stimate e le vendono in molti dipartimenti del regno…. alcune opere paiono molto superiori ai mezzi che hanno. È uno dei migliori tessuti del regno.”
Da allora è cambiato molto. La fiorente attività di tessitura è diventata, negli anni, un artigianato raffinato e il tappeto di Aggius è così famoso da essere oggi un prodotto da tutelare. Viene realizzato esclusivamente con telai manuali, ed è ottenuto grazie a diverse tecniche: “all’antiga”, tessitura compatta a disegni compatti e geometrici, complessi e antichi, oppure “a soprariccio” con effetti a rilievo.
I tempi di tessitura possono arrivare, per tappeti complessi, fino a un anno.
Ripercorrendo la sua storia, Agostina Gala ricorda un aneddoto quando, diventata maestra di tessitura, alla scuola professionale del prof. Cannas, promotore dell’imprenditoria femminile in Sardegna, arrivarono dei telai meccanici da Prato. Ridendo, dice che in realtà la vera meccanica della tessitura era costituita dalle braccia delle donne, che lavoravano con fatica i grossi telai e che, quando era giovane, filare la lana costituiva una piccola autonomia e un inizio di emancipazione per le donne del paese.
“Aiutavi in casa e potevi anche permetterti i primi divertimenti. Andare a ballare qualche volta – confessa la meticolosa tessitrice – Anche quando la Sardegna è diventata set per film e documentari, tutti passavano dalla costa Paradiso e dalla Costa Smeralda: attori, registi e personaggi famosi. E spostandosi dal mare, scoprivano l’entroterra ed il suo artigianato”.
Agostina Gala ricorda Antonioni, Silva Koshina, la Begum, una delle mogli di Aga Khan, che negli anni ’60 commissionò alle tessitrici di Aggius un tappeto immenso per il suo panfilo. Agostina ricorda l’ansia e la difficoltà nel tesserlo e metterlo tutto insieme. Alla fine le tessitrici riuscirono a completare l’opera e, da allora, il tappeto è diventato famoso anche al di fuori della Sardegna.
“Ora il lavoro non manca” ci racconta Rita Gabriella Lutzu, che duetta con Agostina Gala su tecniche tramandate dalle donne di famiglia, e che ha creato un laboratorio piccolo ma attivissimo: l’Albero del Padre. Lavorazioni antiche e a chilometro zero: il vello delle pecore che pascolano attorno ai piccoli borghi della zona danno la lana, che viene filata interamente a mano con il fuso fatto da un cardo selvatico, cercato con pazienza nei campi da queste artigiane, che non amano la plastica. Poi i colori, che dipingono questa terra, sono di origine vegetale, ricavati da foglie, bacche, radici, raccolte e lavorate dalle tessitrici.
Agostina racconta e velocissima prende il fuso di cardo e comincia la danza frenetica del filo grezzo. “Questo – dice – è un filo più morbido, perché è quello della pancia della pecora. Un tempo, in un paese qui vicino, a Tempio Pausania, c’erano solo due pellicce vere e allora noi poveri abbiamo inventato questa: la pelliccia con la lana di pecora!”.
Agostina prosegue il racconto, parlando dell’orbace, il mitico mantello dei pastori sardi, fatto di lana grezza, quasi infeltrita ma impenetrabile all’acqua e al freddo delle notti in montagna. Anche questo umile tessuto vanta un posto nella storia: forse coprì gli antichi romani, sicuramente i monaci medioevali nel Trecento e, durante il fascismo, le camicie nere della Milizia.
La tessitrice dalle mani d’oro apre infine un grande baule, dal quale escono continue meraviglie, come nella grande caverna di Ali Babà. Tappeti con disegni tradizionali e moderni, che riprendono le opere di Lucio Fontana; la bisaccia sarda, detta “sa bertula”, con figure tipiche sarde; l’antichissima e preziosissima “sacc’a cjai di stracci“, un tappeto fatto con stoffa riciclata, tagliata a striscioline e poi tessuta. Ogni tessitrice ne conserva una che viene tramandata, come una memoria, di madre in figlia.
Agostina Gala, con la sua forza e la sua giovinezza interiore, a dispetto dei 93 anni, ha aperto il suo magico scrigno e ci svela che non ha mai smesso di intrecciare quei fili e che spesso la tessitura l’ha aiutata. Da giovane per avere indipendenza, e più avanti per superare dolori e per restare viva. Così com’è.
“Fila la lana, fila i tuoi i giorni…” cantava Fabrizio De Andrè, non lontano da qui.
Agostina ride. Lei i suoi giorni continua a filarli e il tappeto della sua vita vola alto nel cielo.